|
Psicologia |
Donna |
IL PRIMO COLLOQUIO CON LO PSICOTERAPEUTA |
Il primo colloquio è un incontro "speciale" tra due persone che hanno ruoli definiti. Il compito del paziente è essere se stesso, quello dello psicoterapeuta è analizzare il contenuto latente della richiesta del paziente. Il primo colloquio non è mai rigido o direttivo, non esistono domande sistematiche sulla base di griglie prestabilite, non ci si può affidare esclusivamente a categorie diagnostiche o riferimenti teorici per capire il paziente. Lo psicoterapeuta mantiene un "ascolto attento" a ciò che il paziente dice della sua sofferenza e delle ragioni della sua venuta. Quello che si mette in scena durante il primo colloquio non è qualcosa di diverso da ciò che sarà in seguito. Vengono analizzati gli elementi attuali sulla base dei quali si "ricostruisce" il passato del paziente, seguendo una sorta di percorso a ritroso. Il terapeuta crea, attraverso formulazioni di ipotesi e fantasie, una sua mappa interna del paziente, che sarà poi verificata in seguito, allo scopo di accertare le motivazioni del paziente al trattamento. L'osservazione si concentra sul comportamento attuale del paziente, sulla sua crisi (i sintomi), sulla comunicazione verbale e non verbale nella sua messa in relazione con il terapeuta. La crisi, con la relativa sofferenza, portata con sé dal paziente, può essere letta come momento di crescita e di "scelta". Una scelta tra un modo (di vivere, di essere) ormai inadeguato ed un nuovo modello. Una scelta tra passato e futuro che comporta necessariamente una perdita, una separazione. Nella maggior parte dei primi colloqui sono in gioco le possibilità di una crescita del paziente, si decide la possibilità di cambiamento. Un ascolto rivolto solo ai sintomi e non alla domanda latente, potrebbe rendere difficile per il paziente dare vita a quel cambiamento. Una richiesta di crescita è caratterizzata dall'incertezza: una risposta frustrante può incidere in maniera irreversibile sul paziente, rischiando di convincerlo che nulla può mutare. Il terapeuta, per primo, deve credere in questa possibilità. Non tutti i pazienti sono adatti o disponibili ad una psicoterapia e, d'altra parte, non sempre uno psicoterapeuta è disposto a iniziarne una. La sofferenza psichica in sé, infatti, non è condizione sufficiente per iniziare un intervento psicoterapeutico, anche se talvolta può generare negli operatori un'ansia di presa in carico che rischia di concludersi con un drop out da parte del paziente. Talvolta è preferibile rimandare un progetto di psicoterapia se il paziente non è adeguatamente motivato o non possiede ancora le risorse psichiche per poterla affrontare. E' necessario creare, durante il primo colloquio, uno spazio relazionale e mentale in cui accogliere il senso di immobilità, la sofferenza e lo smarrimento che ne derivano. Nel primo incontro, il paziente accede ad uno spazio fisico, ma soprattutto psichico, in cui può portare il suo bisogno di aiuto. Le emozioni vengono catturate attraverso le parole e strutturate in un racconto che a volte può risultare contraddittorio. Il terapeuta, confrontandosi con la sofferenza di un certo paziente, potrebbe sentire "risuonare" in sé emozioni e antichi conflitti non del tutto elaborati. È questo il classico caso in cui potrebbe rivelarsi consigliabile non prendere in carico quella persona. In ogni primo colloquio il terapeuta fa un'esperienza diversa di sé. La sua capacità di ascolto, di controtrasfert, di empatia, si colora diversamente ogni volta. Il terapeuta impara che ogni paziente crea un proprio spazio analitico proprio come la mamma impara che ogni figlio crea un proprio spazio di gioco. Analogamente uno stesso terapeuta viene "interiorizzato" in modo diverso da ognuno dei suoi pazienti, proprio come una mamma è "interiorizzata" in modo differente da ognuno dei suoi figli. E' fondamentale che il terapeuta mantenga viva la curiosità per il mondo del paziente. La curiosità e il genuino stupore per il materiale del paziente mantiene il colloquio vitale, allontana il pericolo del "dare tutto per scontato" e contribuisce a salvaguardare l'unicità di quel paziente. Il primo colloquio può essere visto come uno stimolo, per il paziente, a riconsiderare il senso e il significato delle sue esperienze, riempiendo di un senso nuovo pensieri ed emozioni, passato e presente. |
Dott.ssa Mariacandida Mazzilli |
Dott.ssa Mariacandida Mazzilli |