Psicologia
Donna
Dott.ssa Mariacandida Mazzilli
NOI E IL NOSTRO CORPO



La relazione con il nostro corpo è qualcosa di estremamente delicato. Si tende quasi a
dimenticarlo quando si sta bene, mentre monopolizza tutta l'attenzione non appena
qualche meccanismo si inceppa. Il corpo può essere complice (nel piacere) o nemico
(quando non corrisponde all'immagine che desideriamo). Funge da "biglietto da visita" nel
rapporto con gli altri anche perché, e lo sappiamo bene, si è spesso giudicati dalle
apparenze. Il corpo diventa facilmente bersaglio di frustrazioni e insoddisfazioni derivanti
dal conflitto tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere: spesso si diventa troppo esigenti
e si finisce per disprezzarlo.
Convogliare tutte le attenzioni e le energie su aspetti legati all'esteriorità può impedire un
contatto profondo con se stessi, ma cosa fare quando la nostra immagine ci rende
insicuri? Come riuscire ad accettare un'imperfezione se la si considera la causa primaria
di ogni infelicità?
Non sono poi moltissime le persone in grado di percepire se stesse come sono realmente:
si tende spesso ad avere una visione frammentata del proprio corpo, isolandone singole
parti come se non facessero parte di un insieme. Si può detestare il proprio naso ed amare
le gambe o i capelli. L'immagine che abbiamo di noi può addirittura perdere ogni contatto
con la realtà: una donna che pesa 40 chili può, ad esempio, continuare a vedersi grassa e
soffrirne molto.
Il cosiddetto "ideale del sè" (cioè quello che inconsciamente vorremmo essere), influenza
la capacità di percepire la nostra persona nella realtà. L'ideale di sé si nutre dapprima dello
sguardo dei genitori e se la realtà familiare ha permesso vissuti "sufficientemente buoni"
può maturare un sé tollerante, che aiuta a convivere serenamente con le imperfezioni. Ma
lo sguardo deluso di un padre che ha desiderato invano che il figlio diventasse un
campione in qualche sport, condizionerà il ragazzo, il quale potrebbe percepire il suo
corpo goffo e inadeguato. Una madre che vive con angoscia la bellezza della propria figlia
adolescente, perché costretta a fare i conti col tempo che passa e a dover prendere
coscienza del cambiamento del suo corpo che invecchia, potrà rendere insicura la
ragazza col suo sguardo "deluso".
L'adolescenza e l'età matura sono momenti fondamentali per la costruzione dell'immagine
di sé.
Per le donne la relazione con il proprio corpo è ancora più complicata perché
l'adolescente deve, nel suo percorso di crescita, affermare la propria diversità, passando
dall'essere "uguale alla propria madre" all'essere "differente e unica", un percorso che
può essere facilitato dallo sguardo del padre, che aiuta la costruzione dell'immagine della
ragazza, riconoscendole un corpo. Il riappacificarsi con il proprio corpo è strettamente
legato alla capacità di accettare la realtà, di riconoscersi come unici, di dare valore alla
propria autonomia, di placare i conflitti legati allo sguardo dei nostri "genitori interni".
Come può avvenire allora questa "riconciliazione" con il proprio corpo?
A volte capita che lo sguardo di chi ci desidera ci sveli qualcosa di noi che non
conoscevamo: ci fa sentire diversi, più belli, più amabili, le carezze della persona amata
fanno svanire magicamente tutti i nostri difetti.
E' importante tenere sempre presente che il corpo non può essere considerato come
un'entità separata dal mondo intrapsichico: ogni istante riceviamo messaggi che arrivano
sotto forma di sensazioni fisiche (caldo, freddo, piacere o dolore fisico, etc.) o di
sensazioni psichiche (tristezza, gioia, rabbia etc.). Un mal di testa, per esempio, potrebbe
anche essere l'effetto di una rabbia soffocata, di tensioni non sciolte.
Il volto è il teatro delle nostre emozioni, i contorni più o meno rilassati degli occhi, le rughe
intorno alle labbra raccontano di noi, della nostra età e soprattutto del nostro modo di
accogliere il passare del tempo. Accettare i segni del tempo con serenità può essere
un'impresa difficoltosa se già il rapporto con il nostro corpo è stato compromesso in
precedenza. Sono molte le donne che assumono un atteggiamento di rassegnazione,
bloccando così quel continuo processo di trasformazione mente-corpo grazie al quale ad
una fine segue sempre una rinascita. Chi misura il proprio valore solo dagli sguardi
adoranti degli altri, corre il rischio, quando questi non ci sono più, di scegliere di farsi da
parte, di togliersi dal gioco, impedendo così ogni altra esplorazione di sé, di altri modi di
essere: diventa impossibile scoprire un altro modo di prendersi cura di sé.
Non esiste limite di età per scoprire la propria creatività, per avere voglia di cambiare e di
mettersi in discussione. Eventi come la fine di una relazione che non dava più nutrimento
profondo o l'inizio di un nuovo lavoro più gratificante, possono essere, pur con tutte le
comprensibili difficoltà, momenti stimolanti per cominciare una rinascita. Concentrarsi su
un lifting o isolarsi dai rapporti interpersonali, sarebbero ancora una volta tentativi di voler
separare, in maniera innaturale, il corpo dai vissuti interiori. L'illusione di assicurarsi
l'"eterna giovinezza" rivela la difficoltà ad accettare i propri limiti e la tendenza a
omologarsi a standard precostituiti.
Può un intervento di chirurgia estetica mettere davvero fine a tanti tormenti? Forse no. E'
importante soprattutto ricercare altre modalità per nutrire la propria autostima, altrimenti il
"ritocco" non farà stare meglio.
L'esasperata tendenza a soddisfare criteri estetici dominanti finisce per influenzare i
comportamenti alimentari, non più regolati da fattori quali fame, gusto, sazietà, ma
costantemente dominati dalla ragione. Si diventa giudici severi di tutto quello che si
mangia, si tende a dividere il cibo in buono (tutto ciò che è ipocalorico e che fa dimagrire) e
cattivo (tutto ciò che fa ingrassare). Alla forza di volontà è affidato l'onere di evitare ogni
"tentazione", lasciando da parte spontaneità e naturalezza. La sensazione di poter sempre
controllare il proprio peso sarebbe una dimostrazione della propria forza, ma allora come
mai proprio chi cerca di controllare ossessivamente la propria alimentazione tende così
spesso ad essere ansioso, irritabile e trova tanta difficoltà a concentrarsi?
In condizioni di stress, nervosismo, quando l'umore è giù, il cibo può rappresentare una
sorta di "compensazione": imporsi delle restrizioni impedisce di trovare una rapida
"consolazione". A questo punto, la trasgressione (rappresentata, ad esempio, da un
pezzo di cioccolato divorata avidamente) genera insostenibili sensi di colpa e ulteriore
bisogno di consolazione, in un perverso meccanismo che porterà a mangiare l'intera
tavoletta di cioccolato.
A volte affrontare una dieta può essere necessario, ma attenzione al "fai da te".
E' fondamentale in questi casi rivolgersi ad un nutrizionista di fiducia che aiuterà ad
individuare ed eliminare le cattive abitudini alimentari e, caso per caso, elaborerà diete
personalizzate: magari si scoprirà che cibi considerati proibiti possono essere reinseriti
nei propri pasti, con beneficio del palato e dell'umore.
Mente e corpo non sono mai divisibili, imparare ad ascoltare i bisogni autentici del proprio
corpo aiuta a comprendere più profondamente se stessi.

Dott.ssa Mariacandida Mazzilli