Psicologia
Donna
DISTURBI ALIMENTARI
Per partecipare ai gruppi di auto aiuto guidato per chi soffre di disturbi alimentari è
necessario prenotare un colloquio gratuito al numero 06/61522466.
(Dott.ssa Mariacandida Mazzilli).
e mail: psicologiadonna@psicologiadonna.it
Le attività di gruppo si svolgono a Roma in Via Pascal ,6.

Ogni gruppo si incontra una volta alla settimana. Gli incontri hanno una durata di 1 ora e
mezza. Ogni gruppo è composto da 6/ 7 persone al massimo.

Il costo del gruppo è di 80 euro mensili.
Anoressia e bulimia sono disagi che, nella loro manifestazione esteriore, riguardano il rapporto con
il cibo. Quest'ultimo è protagonista della scena, ossessivamente respinto nel caso della anoressia
o ricercato, fagocitato e poi vomitato, nel caso della bulimia.
Entrambi i comportamenti celano la paura del rapporto con gli altri e un disperato bisogno di
amore. Il rifiuto o la ricerca del cibo divengono, in questi casi, un vero e proprio rifugio, una fuga
dalla realtà, un bisogno assoluto di controllare la propria vita.


L'anoressia è una malattia tipicamente femminile. Il significato del suo nome, che prendiamo in
prestito dall'antica Grecia, ruota intorno ad assenza di appetito, di desiderio di cibo. In realtà,
l'anoressica è una persona avida, affamata d'amore. E' proprio la paura di perdere il controllo dei
propri desideri che spinge queste persone a rinunciare a tutto. Chi riesce a non mangiare si
convince di non aver bisogno di nulla e di nessuno. Il pensiero ossessivo del cibo cancella tutte le
altre emozioni, è un disperato tentativo di far ordine dentro di sé. Vi è una concentrazione
quotidiana sul controllo del peso, sui chili, sulla qualità del cibo da ingerire e solo in questo modo
si vive la sensazione illusoria di poter controllare la propria vita interiore, la propria sofferenza. La
ricerca del controllo assoluto inevitabilmente indirizza verso una dipendenza illimitata dal sintomo
che diviene, nella mente dell'anoressica, una cura, la sola e unica cura per le proprie sofferenze
interiori. L'anoressica crede di poter venirne fuori in qualsiasi momento, "ora non mangio…tanto
domani mattina mi preparo una ricca colazione, se io lo decido, lo faccio…", si illude di essere in
grado di accorgersi in tempo dei segnali di pericolo che l'organismo indebolito manda, e di poter
così evitare malori, ricoveri in ospedale e conseguenze più gravi (non va dimenticato che, nei casi
estremi, l'anoressia può condurre alla morte).


Chi incomincia a mangiare smodatamente, difficilmente riesce a controllarsi. Capita spesso di
pensare: "Da domani niente più abbuffate…non lo faccio più!", invece la tentazione è forte e la
ricaduta probabile. Le persone bulimiche soffrono, il più delle volte, di mal di testa molto forti,
causati dal frequente vomito, spesso auto-indotto e dalla disidratazione. Predomina una grande
contraddizione: il desiderio di ingurgitare più cibo convive con quello di avere un corpo magro,
simbolo nel proprio ideale, di benessere. Rinunciare al cibo, in nome dell'ideale di un corpo magro,
potrebbe voler dire non sentirsi più coccolata, accudita. Il bisogno irrefrenabile di cibo contrasta
col desiderio di non perdere il controllo. Ma cosa significa perdere il controllo? Infrangere la dieta
prestabilita, mangiare i granelli di zucchero caduti sul tavolo all'amica mentre zuccherava il suo
caffè (se si era deciso di non mangiare dolci per un mese): a volte basta una piccola trasgressione
per attivare una crisi bulimica, durante la quale si vive una sorta di trance e si pensa solo ad
ingerire tutto il cibo a portata di mano, senza badare a cosa si sta mangiando. A volte il bulimico
arriva ad ingurgitare più di 5 chili di cibo in pochi minuti. Nel momento in cui si rende conto di
quello che sta succedendo, può subentrare una intensa angoscia, che è possibile placare solo
ingozzandosi con altro cibo. Infine l'illusoria soluzione del problema: il vomito auto-indotto, un atto
atroce, violento, accompagnato da una forte ansia: la quantità enorme di cibo ingerito viene
improvvisamente vista come un pericolo mortale. Vi è un bisogno esasperato di buttare tutto fuori,
di liberare quel corpo che si sta allontanando dai canoni ideali di magrezza. Il tutto condito da
vergogna e frustrazione. Diventa difficile rinunciare all'atto di vomitare.
La maggior parte delle ragazze bulimiche e anoressiche instaurano un rapporto simbiotico con la
figura materna. Vi è una profonda fusione tra le due, ma anche confusione circa i desideri e i
bisogni di entrambe. Sono molte le storie di figlie che hanno inseguito inconsciamente i desideri
frustrati della loro madre, cercando di realizzare le sue aspettative deluse. E' un circolo vizioso che
costringe spesso le figlie a rimanere piccole, a non crescere, a non diventare donne autonome, a
non costruire la propria identità e a non cercare la propria strada. Può essere difficile, per una
madre, veder crescere una figlia, assistere allo sviluppo del suo corpo, alla prima mestruazione.
Troppo dolorosa potrebbe essere la scoperta della sua femminilità e sessualità. La pubertà della
figlia coincide spesso con la menopausa della madre, l'una diventa cioè che l'altra non è più.
Gelosie, competizioni, tentativo inconscio di non farla crescere anche attraverso un taglio di capelli
o un vestitino che potrebbero allontanare ogni forma di seduzione e femminilità. Cosa potrebbe
succedere se la figlia diventa grande? Potrebbe venir meno il senso della loro vita, vivrebbero
l'autonomia della piccola come un abbandono, un tradimento. Sono molte le donne che fondano la
loro identità solo nel ruolo di madre e sono proprio queste donne che si ammalano quando
rimangono sole. A volte l'anoressia trova terreno fertile proprio in quelle figlie che fanno di tutto per
non stuzzicare la gelosia della madre, il corpo magro, senza curve, i seni asciutti, fanno pensare
all'infanzia, l'assenza di mestruazioni mette a tacere qualsiasi sofferenza della madre. A volte può
accadere, all'opposto, che la madre costringa la figlia ad una crescita immediata, catapultandola in
un mondo di adulti senza permetterle di vivere il passaggio adolescenziale. Madri divorziate o
insoddisfatte per un rapporto deludente con il proprio partner che scelgono inconsciamente la
figlia come appoggio, sostegno. In questi casi la madre diviene la "migliore amica della figlia", ci si
racconta tutto, c'è una grande confidenza. Ma si sa che la costruzione della propria identità si
fonda in primis sulla separazione interna dai propri genitori, avviene attraverso il contrasto,
l'opposizione. Un adolescente ha bisogno di un punto di riferimento, ha bisogno di fare il figlio. In
queste famiglie non è raro trovare padri assenti, seduttivi che, inconsciamente, sono portati a
mettere la figlia al posto della propria partner. Il sintomo anoressico esplode, a volte proprio come
difesa da questo atteggiamento paterno, anche qui il corpo infantile diviene l'unico rifugio. Ruoli
confusi, emozioni e rabbie non espresse, caratterizzano queste famiglie dove si comunica solo
attraverso il corpo. Ed è proprio attraverso il corpo che la rabbia si esprime. Il corpo della persona
anoressica- bulimica è rancoroso, tenta disperatamente di comunicare il dolore di non essere vista,
riconosciuta nei propri bisogni, desideri, è un tentativo disperato di separazione, di frantumazione
di quell'idea di perfezione che è stata violentemente appiccicata addosso. Il sintomo può essere
anche interpretato come un tentativo di chiamare in causa la figura paterna, esclusa dal rapporto
simbiotico madre-figlia. Così il sintomo anoressico-bulimico riesce a tenere incollata un'intera
famiglia che si ritrova finalmente ancora insieme, impegnata a parlare dei problemi della figlia,
insomma a trovare il modo di risolvere il caso della malattia della figlia. Straordinariamente, grazie
al sintomo, ognuno riprende il suo posto e il suo ruolo. Le persone anoressiche e bulimiche
utilizzano il sintomo non come scoperta di sé, ma come una opposizione, una ribellione alla madre.
Vicino ad una figlia brava nelle faccende domestiche, giudiziosa c'è in molti casi una madre dedita
al lavoro, sempre fuori casa, così come accanto ad una figlia poco attenta al vestiario, all'immagine,
c'è spesso una madre ossessivamente interessata ai profumi, all'eleganza etc.

La difficoltà più grande per chi soffre di questi disturbi alimentari è proprio nella presa di coscienza
del proprio disagio. E' raro rendersene conto e chiedere aiuto.
Sostenere persone anoressiche o bulimiche significa non farsi trascinare dalla loro stessa
mentalità dove è il corpo al centro dell'attenzione, e quindi andare oltre le manifestazioni esterne
del disagio (l'assenza di appetito, le abbuffate, il vomito, l'eventuale mancanza di mestruazioni,
etc.). Spesso i familiari sperano di scovare una giustificazione medica al sintomo, non rare sono le
corse ai dietologi, agli ospedali. La scelta migliore è quella di cercare di parlare il meno possibile
del cibo, del peso, dei chili. Infatti chi soffre di questi disturbi alimentari vive un piacere particolare
nel raccontare tutti i dettagli dei propri rituali. Molti, pensando di fare del bene, tentano di
spaventare, sottolineano la gravità dei sintomi, la difficoltà del ritorno del ciclo, gravidanze future
impossibili, capelli e denti che cadono, ulcerosi all'esofago, consumo dello smalto dei danti a
causa del vomito ripetuto etc.. Concentrano ancora l'attenzione sul sintomo e non su cosa c'è
dietro il sintomo. Importante invece è spingere queste donne a guardare dentro di sé, a mettersi in
discussione.
La psicoterapia individuale "contiene" la sofferenza e può avere una valida funzione di
"accudimento materno".

I gruppi di auto-aiuto guidato sono gruppi formati da persone accomunate dallo stesso sintomo,
dallo stesso disagio, supervisionati e coordinati da uno psicoterapeuta e potrebbero rappresentare
un importante punto di riferimento e condivisione. Nel gruppo e più facile prendere coscienza con
chiarezza della propria condizione di persona "anoressica" o "bulimica" e gli altri componenti del
gruppo si rispecchiano e nello stesso tempo aiutano gli altri a rispecchiarsi: si impara a guardarsi
anche con gli occhi dell'altro. Il senso di appartenenza al gruppo, la solidarietà, l'eliminazione del
giudizio aiutano a solidificare la propria identità.

Dott.ssa Mariacandida Mazzilli