Psicologia
Donna
Dott.ssa Mariacandida Mazzilli

Gli attacchi di fame nervosa, perché ci assalgono, come contrastarli

Quella della 'fame nervosa' è una scusa di chi non riesce a seguire una dieta, oppure si tratta di un vero disturbo, un disagio psicologico che va affrontato e curato da uno specialista?

Chi si abbuffa in maniera incontrollata può divorare in brevissimo tempo molte quantità di cibo e di conseguenza un numero elevato di calorie. Patatine, dolci, grissini, biscotti, lo scopo è quello di svuotare il frigorifero e riempire le pareti dello stomaco a volte fino a sentirsi male. Di solito questa "fame nervosa" si attiva in momenti di solitudine, spesso di nascosto ed è preceduta da sensazioni di tensione e ansia che trovano sollievo ingerendo cibo. Ma la consolazione è solo momentanea perché all'abbuffata seguono sentimenti di vergogna, inadeguatezza e rabbia. Per lo più sono le donne a soffrire di questo disagio, in un rapporto di 2 a 3 fra uomini e donne. Quando il cibo diventa l'unico balsamo per placare i vuoti affettivi si sta entrando nella sfera di un vero e proprio disagio psichico.

Quali sono, in base alla sua esperienza clinica, le cause più frequenti, i motivi più comuni di questo disagio?

All'origine del disturbo potrebbe essere presente una difficoltà a vivere e ad esprimere le proprie emozioni, la "fame nervosa" incontrollata, diventa l'unica auto-cura di fronte alle difficoltà affettive ed emotive come per esempio delusioni d'amore, lutti, separazioni o qualsiasi evento vissuto dalla persona come traumatico. Questo sintomo aiuta, chi ne soffre, a costruirsi una specie di prigione all'interno della quale rinchiudersi anche per nascondere la propria paura del rapporto con gli altri e soprattutto un bisogno disperato d'amore, una fame d'amore. Il cibo diviene un rifugio invisibile che permette di sfuggire ai pericoli, ai rischi, alle sofferenze che rendono insopportabile l' esistenza con il bisogno assoluto di controllare la propria vita. Quando si comincia a mangiare e a mangiare in maniera incontrollata non si finisce più, è come una specie di droga. Ad ogni sofferenza ci si prepara ad anestetizzarla, soffocandola con la bocca, come se il cibo fosse un coperchio: invece di gridare la propria angoscia, si chiude la bocca con il cibo. Si diventa vittime di una contraddizione: desiderio di mangiare e contemporaneamente desiderio di avere un corpo magro e snello nel quale si crede di trovare la soluzione del proprio disagio interiore. E' un conflitto tra due desideri contrastanti: ogni volta che ci si arrende alla voglia incontrollata di mangiare per riempire di cibo il proprio vuoto esistenziale, si finisce per allontanare l'ideale del corpo magro. Ma al cibo non si può più rinunciare perché vorrebbe dire privarsi della sensazione di essere accudito, di donarsi coccole, carezze e amore. La persona che si abbuffa potrebbe avere una personalità dipendente, invischiata in quei meccanismi psicologici dove la gratificazione dell'oggetto dipendente, in questo caso il cibo, porterebbe la persona a ricercarne ancora e ancora per cercare di stemperare stati d'animo negativi proprio come succede nell'alcolismo o nella tossicodipendenza. Alla base di questo scenario psichico abita anche una identità fragile che soffre di disturbi dell'umore, caratterizzati soprattutto da sentimenti di svalutazione e disistima verso se stessi.

Come contrastare questi attacchi di fame, spesso davvero incontrollabili, come superare il momento in cui si svuoterebbe letteralmente il frigorifero?Quali anche i consigli più pratici che può dare alle lettrici di Margherita.net?

Il più delle volte, chi soffre di "fame nervosa" si rivolge ad un dietologo con l'obiettivo di perdere peso, presentando una lista di tentativi dietologici fallimentari alle spalle. Così lo specialista avrà il compito di studiare un percorso di rieducazione alimentare. E il disagio interiore? E quell'angoscia profonda che fa scivolare la persona in interminabili scorpacciate senza controllo, chi ne tiene conto? Non tutti sono consapevoli di stare vivendo una problematica psicologica, è più facile dare la colpa al cibo, alla dieta, ai chili di troppo, alla mancata educazione alimentare. E' cosa sempre utile imparare a mangiare bene calibrando calorie e seguendo una dieta corretta e sana ma sarebbe un errore fermarsi qui. Forse la prima cosa da fare è prendere consapevolezza che, dietro questo disagio del comportamento alimentare, possono coabitare problematiche psichiche derivanti da un'infanzia non serena ma anche da traumi e sofferenze accumulate nell'età adulta. Fatta chiarezza e non trascurando quelli che sono gli scenari più profondi di sé, ci si può muovere di conseguenza alla ricerca di un percorso più adatto a sé per rimuovere la "fame nervosa! Per uno psicoterapeuta è sempre un po' complicato dare consigli pratici…forse l'unica dritta che mi sentirei di suggerire è quella di avvalersi di un particolare strumento di autoanalisi: un diario alimentare, cioè un quaderno dove annotare tutto quello che si mangia durante la giornata, ora dopo ora. Si potrebbero associare a questo, anche i vari stati d'animo che possono precedere il momento della "fame nervosa", i momenti di crisi, le circostanze in cui si verificano, le angosce vissute anche dopo il momento della scorpacciata. Questi elementi potrebbero aiutare a comprendere meglio il funzionamento e le ragioni che sono alla base di certi comportamenti, si scoprirà pian piano che la fame nervosa diviene una soluzione per rispondere ad una determinata situazione e che è solo un modo per adattarsi e per sopravvivere. Quando si riuscirà a scrivere su questo quaderno, minuti prima in cui si sentirà il bisogno incontrollato di mangiare, si sarà fatto un grosso passo avanti e soprattutto, quando si riuscirà a scrivere per ritardare una crisi fino ad evitarla del tutto, si starà entrando in vero e proprio processo di cambiamento, in questo caso ottime posso essere le probabilità di uscire dal circolo vizioso della fame nervosa.

Come si affronta, come si cura la fame nervosa (e i problemi che la causano)?

Riabituarsi a riconoscere e ad esprimere le proprie emozioni senza che queste vengano vissute in modo minaccioso o messe a tacere tramite l'abuso di cibo rappresentano alcuni degli obiettivi fondamentali di un percorso psicoterapeutico. Stimolante è l'arte-terapia: essa permette di risvegliare la creatività e l' immaginazione e aiuta ad uscire da schemi e comportamenti ripetitivi offrendo inoltre la possibilità di divertirsi e di provare piacere. L'arte-terapia non ha l'obiettivo di insegnare a dipingere o a ballare ma si tratta piuttosto di un cammino alla scoperta di se stessi. La terapia di gruppo, a mio avviso, è il tipo di psicoterapia più azzeccata per questo tipo di disagio. L'inizio è difficile ed è importante non arrendersi subito, aprirsi davanti ad altri è complicato ma è proprio questa la forza di un gruppo: raccontare la propria storia insieme a chi ha vissuto o vive lo stesso problema. Il valore terapeutico sta proprio nella condivisione che aiuta a sentirsi meno soli e a guardare, con più chiarezza, le proprie dinamiche interiori sbagliate riflesse anche nell'altro, sollecitando la presa di coscienza di sè. La psicoterapia individuale permette una maggiore profondità e concentrazione sul proprio passato, fa emergere vissuti rimossi, conflitti che non si aveva voglia di vedere da vicino.

Dott.ssa Mariacandida Mazzilli