Psicologia
Donna
Dott.ssa Mariacandida Mazzilli
QUANDO LA COPPIA E' SERENA

L'amore da solo basta? E' possibile comprendere, fin dai primi istanti insieme, se l'altro è
quello giusto e se è un amore che durerà per sempre?
Quando ci si guarda negli occhi e si ha la sensazione di conoscersi da sempre si tratta di
un segnale di affinità profonda? Essere felici vuol dire andare sempre d'accordo? Avere le
stesse passioni?
Sono tante le domande che ci poniamo a proposito del rapporto amoroso, anche perché
tutti, indistintamente, possiamo esserne coinvolti e sperimentiamo le difficoltà nel
costruirlo. Un rapporto d'amore si coltiva nel tempo, si arricchisce quando viene vissuto in
modo continuativo e non episodico. Le persone che hanno imparato a vivere un legame
affettivo stabile hanno sviluppato in sé maggiore equilibrio e maggiore serenità. L'amore è
un cammino di emancipazione (non un possesso), verso una progettualità esistenziale
fondata su valori comuni. Amare implica interesse e dedizione, oltre ad una certa dose di
sacrificio e sofferenza. Qualsiasi fatica, se fatta per affetto, non pesa, tuttavia amare in
maniera matura non corrisponde ad un progressivo annullamento della personalità.
Alcune donne confondono l'amare con il "viziare" il partner, il quale , a sua volta finisce
per considerare le cure di lei come qualcosa di dovuto, come un diritto. Il bisogno della
donna di sentirsi "riconosciuta" la induce ad assumere atteggiamenti che ricordano quelli
materni, nel tentativo di rendersi indispensabile per l'altro. Si tratta di comportamenti che
poi finiscono per incastrarsi perfettamente con la tendenza dell'uomo a restare "passivo":
sono moltissime le coppie che riproducono il copione madre-figlio. Uno degli effetti
terapeutici della psicoterapia sta proprio nello spostare la responsabilità degli eventi dagli
altri a se stessi. Crescere psicologicamente equivale anche a riconoscere quanto di
immaturo c'è in noi, senza colpevolizzare ingiustamente chi ci sta vicino per i nostri
comportamenti poco costruttivi. Un tipico esempio è la scelta di frasi come "tu mi hai fatto
arrabbiare" invece di " io sono arrabbiato", spostando l'accento sul tu anziché sull'io. Può
rivelarsi un errore pensare che il rapporto speciale che lega due partner li autorizzi a
comunicare senza prestare attenzione alla sensibilità dell'altro, nell'illusione che
qualunque frase, anche la più dura e dolorosa, sarà comunque accolta senza particolari
problemi. Al contrario, una comunicazione priva di riguardi per l'interlocutore può creare
momenti, anche prolungati, di disagio, frustrazione, e rendere impossibile uno scambio
autentico.
Ogni individuo percepisce la realtà a suo modo e questo favorisce naturalmente contrasti
e disaccordi sull'interpretazione di avvenimenti e circostanze. Ma proprio nel momento del
dissapore è necessario non concentrare tutte le attenzioni e le energie nell'evidenziare le
responsabilità dell'altro, ma cercare di mettere a fuoco le proprie, mettendo da parte
arroganza e presunzione. E, anche quando si è certi delle proprie ragioni, è importante
scegliere un tono adeguato, disteso e tranquillo per quanto è possibile: solo così si facilita
l'ascolto reciproco. A volte si tende a generalizzare e semplificare immaginando un
approccio maschile totalmente orientato alla "praticità" (soluzione "sbrigativa" dei
problemi, aggiramento dei conflitti) e un approccio femminile improntato all'emotività
(ricerca del dialogo). Dobbiamo ricordare che tra questi due estremi esiste però una realtà
molto più sfumata e che la cosa che realmente conta nel profondo di ognuno è sentire
l'altro dalla propria parte, a prescindere da tali differenze.
Non è necessario che l'altro la pensi esattamente come noi, ma è fondamentale che sappia
ascoltare, comprendere e soprattutto crescere insieme a noi. Per molte coppie stare in
intimità equivale a condividere uno spazio dove la comunicazione è solo funzionale e non
emotiva ("hai portato giù la spazzatura", "hai pagato la bolletta del gas?"). Ci si può
sentire molto soli anche insieme ad un partner e chi passa tutta l'esistenza affamato
d'amore ne soffre di più. Tutti siamo costretti a vivere momenti di solitudine, vero è che la
solitudine è uno dei primi stati d'animo che il bambino sperimenta quando, nascendo,
perde la protezione dell'utero materno. Se appena nato il bimbo vive una relazione
simbiotica con la mamma, successivamente impara a distinguersi da lei e dagli altri che
diventano suoi simili ed è da questa fase evolutiva di individuazione di sé come soggetto
che incomincia verosimilmente la paura della solitudine. Lo stare solo è una delle angosce
più profonde dell'essere umano che sente la necessità di avere dei punti di sicurezza
affettivi. Seguono poi le separazioni dovute allo svezzamento, all'ingresso al nido, alla
scuola materna ed elementare. Si può infatti affermare che ogni separazione costituisca
anche una mappa del processo di maturazione psicologica verso lo stato adulto, il
prenderne coscienza e accettarla rientra nella maturità psicoaffettiva. L'atteggiamento
materno oltre ad influenzare nel figlio il processo di differenziazione e la strutturazione
dell'immagine di sé, diviene fondamentale per la strutturazione dell'autostima che si
costruisce proprio con la mamma quando si è piccoli e si sviluppa in funzione della
sicurezza che lei trasmette. Il modo in cui il bimbo viene allattato o tenuto in braccio, è già
un'involontaria educazione all'accettazione della propria corporeità, al piacere , ai rapporti
con l'esterno: tutte primarie esperienze che condizionano la relazionalità dell'adulto con
se stesso e con gli altri. Una buona madre promuove nel figlio la sensazione di essere
degno di affetto e di avere fiducia in se stesso. Così i primi rapporti infantili con la figura
materna influenzano anche l'Eros nella vita adulta. Se non sono stati sereni
determineranno poi diffidenza e blocchi nel lasciarsi andare nell'intimità sul versante
sessuale e causeranno difficoltà al piacere o ansia da prestazione.
Tuttavia il bambino può imparare a stare solo anche in presenza di una persona, ad
esempio quando la mamma lavora per conto proprio nella stanza. Così ci si sente meno
soli grazie alle immagini buone che si sono introiettate e alle presenze positive con cui ci
si è potuti identificare. In questo caso la solitudine può essere anche un sentimento pieno
e sereno, può diventare una buona consigliera che facilita il contatto con il mondo
interiore, permette di sintonizzarsi con gli stimoli interni, non reagendo più soltanto a quelli
esterni. Proprio le persone che bastano a se stesse sono predisposte alla costruzione di
coppie "felici" nelle quali il confronto e lo scambio di esperienze aiutano a creare
complicità. Infatti le persone che non hanno interessi oltre alla famiglia e che si
seppelliscono tra le mura domestiche, finiscono con l'impoverirsi sempre di più. Ognuno
dovrebbe avere una "stanza tutta per sé" dove il partner non entra, uno spazio mentale,
fisico, sociale, dove a volte si è soli per rigenerare le proprie energie. Stiamo parlando di
spazi di autonomia che aiutano a mantenere un buon rapporto con i propri desideri e i
propri bisogni (solo noi possiamo sapere di cosa abbiamo bisogno, cosa desideriamo)
come facciamo a scoprirlo o a comunicarlo al partner se prima non siamo stati soli con noi
stessi?
Quante volte sentiamo dire che "il matrimonio è la tomba dell'amore", o che in qualche
modo la convivenza a stretto contatto quotidiano uccide la passione? Ma non è forse vero
che mille piccoli gesti quotidiani costituiscono da sempre il cerimoniale tacito,
rassicurante e tenero sul quale milioni di coppie hanno basato un'esistenza serena? E
allora dovremmo probabilmente concentrare l'attenzione su una certa eccessiva
"dipendenza" dell'altro, che può trasformare il quotidiano da rifugio sereno a vera e
propria prigione.
L'errore più comune è darsi per scontati. E' indice di presunzione credere di sapere e di
conoscere tutto dell'altro, sottovalutando il valore dell'intimità (che invece avrebbe
bisogno di essere nutrita continuamente). Dedicare tempo all'altro, trovare sempre dei
momenti da riservare al divertimento insieme, esprimere apprezzamento (e non solo
critica) per le cose che fa, è un valido antidoto contro la lontananza emotiva. Alcune
circostanze personali (lo stress lavorativo, i figli o suoceri invadenti, etc.) o anche della vita
di coppia, possono penalizzare la vita sessuale; in questi casi è importante non
sottovalutare l'importanza di ritagliarsi momenti dedicati al piacere, cercando di creare
ogni tanto le circostanze favorevoli all'intimità, approfittandone per stare un po' soli.
A volte si pretendono dal partner continue dimostrazioni di affetto e tra queste, ai primi
posti della classifica dell'amore esclusivo, ci sono le rinunce: " Se quest'anno rinuncia alla
partita di calcetto per stare il giovedì sera con me vuol dire che è fatta…mi ama alla
follia…!"…
E' triste vedere coppie nelle quali, per conquistarsi piccoli piaceri della vita come una
partita al calcetto o lo shopping con le amiche, è necessario giustificarsi o rivendicare
diritti nel corso di liti furibonde. L'altro ci sarà grato se rispettiamo le sue esigenze e sarà
naturalmente più incline a rispettare anche le nostre. In una coppia matura non è
necessario assecondare in tutto e per tutto il partner per paura di perderlo, ma si riesce a
vivere una forte complicità proprio rispettando le esigenze dell'altro. Concludendo
possiamo dire che una coppia potrebbe essere "felice" quando entrambi i partner sentono
di avere qualcosa che li lega, qualcosa a cui ritornare e che può contenerli come individui.
La capacità di creare una relazione forte aiuta a contrastare la regressione che
inevitabilmente si verifica nelle transizioni di vita, nei periodi di crisi, nei momenti di
acquisizione di nuove conoscenze o semplicemente nell'affrontare i momenti belli e brutti
della vita quotidiana. Ciò comporta la possibilità di vivere l'ambivalenza e di tollerare
l'inevitabilità dei conflitti e delle tensioni: è proprio questo il tipo di relazione in cui sono
possibili quelle soluzioni sane e creative che una persona da sola, non riuscirebbe ad
immaginare.


Dott.ssa Mariacandida Mazzilli